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MORB ART

Intervista con l’artista di strada torinese Morb:

La street art è un arte che oserei dire ha un impatto più collettivo. Avvicina le persone e le distacca dalla loro vita, le aliena per qualche istante, le immerge in una dimensione diversa da quella ordinaria.

Cosa c’è dietro il nome Morb Art? Puoi dirci di più su di te e sul tuo background artistico?

Morb è il diminutivo di un soprannome che avevo da ragazzino e che poi, all’inizio degli anni 2000, ho adottato come tag. In quel periodo ero attivo come writer nelle colline modenesi, ed è in quel periodo che origina parte della mia espressione artistica odierna. Dal mondo dei graffiti, dalla cultura underground e dalla scena musicale americana.

Come sei entrato in contatto con la street art e i graffiti? Qual è stato l’impulso a collocare le tue opere nello spazio pubblico?

Come ti dicevo, ero molto affascinato da una cultura così lontana, come quella statunitense, che, arrivando fino in italia, contaminava le città con una nota di colore che prima non avevano. Forse questa espressione artistica, ribelle e fuori dagli schemi, mi catturò così tanto da finire col farne parte. Fu questo probabilmente, a quel tempo, ciò che più di ogni altra cosa mi avvicinò alla street art o, per meglio, dire, ai graffiti. 

Adesso, dopo anni, le cose sono cambiate. L’accresciuta tolleranza e l’evoluzione di questa cultura hanno offerto a chiunque la possibilità di godersi l’arte, anche senza doversi recare in un museo. Io, ad esempio, non dipingo sui muri come un tempo ma creo installazioni urbane.

Come definiresti “l’arte urbana”?

Alla portata di tutti. Poi vi sono opere più o meno semplici da capire, ma quello accade da sempre nell’arte.

“L’arte come veicolo del tocco umano, sul mondo attuale”. È così che descriveresti ciò che ti spinge a essere creativo? Che rapporto vuoi creare con gli spettatori delle tue opere? Che reazione ti aspetti da loro?

L’arte è il mio veicolo espressivo, per mezzo del quale provo non solo a esternare le mie sensazioni ma anche a mostrare ciò che accade nel mondo. Analizzo molto l’uomo e i suoi comportamenti. Di recente, nella mia ultima serie di opere, “Modern Eternity’s”, cerco di coinvolgere appieno lo spettatore, facendolo entrare in connessione con il soggetto dell’opera stessa. Il tentativo è di rendere l’opera più dinamica, creando un’esperienza molto personale per chi, osservandola, può contrapporsi con la sua stessa immagine riflessa e distorta.

La tua arte si concentra su temi come la distruzione della realtà, la genesi umana, la denuncia del consumismo e l’abuso sugli animali, così come la fede, la religione e il divino. Mi riferisco a opere come “un veicolo di mutazioni e metamorfosi della realtà”. Quali sono le tue fonti di ispirazione? Ci sono altri artisti (urbani) che ti influenzano?

Credo di trarre ispirazione dalla realtà intorno a me, in continua evoluzione, bombardato di informazioni, immagini e sensazioni, che scatenano una sorta di connessione con un mondo più viscerale e meno tangibile, più intimo e personale. Com’è evidente nella mia arte, sono attratto molto dalla figura femminile, che totalizza quasi al 100% la mia espressione artistica. È lei, nella sua bellezza ed eleganza, la musa, così complicata da comprendere e veicolo espressivo di mutazioni e metamorfosi della realtà.

Amo molto la fotografia, in particolare quella legata alla moda, e mi piacciono i fotografi che se ne occupano. In molte mie opere del 2020 ho usato i soggetti fotografati da Peter Lindberg, ricreando una realtà diversa da quella catturata in origine e mettendo in contrapposizione su di essi l’arte urbana. 

Seguo da diverso tempo il duo Pichiavo, che amo moltissimo sia per le loro opere che per il cambiamento che hanno impresso all’immagine della street art. Mi piace molto il modo di esprimersi di African Ginger, artista americano che fonde la pittura e la digital art. Altri che potrei dire influenzino la mia arte sono David Lynch, Daniel Ashram, Reederone, Axel Void, Feral_kid, Isaac Cordal, John Washington e tanti altri.

Sei molto versatile e fai arte da tele, installazioni e collage oltre a sculture, fotografia e street art. Stai ancora cercando il tuo mezzo di espressione definitivo o è la diversità che ti attrae?

Il bello dell’arte è che fondamentalmente non possiede un vero e proprio limite. Per me quindi è bello poterla fare, con tutti questi mezzi, così da non dover limitare la mia creatività.

Oltre all’arte, realizzi le tue tele con legno riciclato, in modo artigianale e prestando attenzione ai dettagli, così da creare pezzi unici e dare loro una seconda vita. Che significato hanno per te il riciclaggio e la sostenibilità, in generale come nella pratica artistica?

Al giorno d’oggi la gente è più attenta all’ambiente, si è resa conto che l’impatto dell’uomo sul ecosistema del pianeta è molto forte. Penso che se tutti nel nostro piccolo provassimo a metterci del nostro, insieme potremmo fare la differenza. Abiteremmo, insomma, un pianeta migliore. È da questa e altre riflessioni che è nata“Hope Crisis”, una serie di installazioni urbane mirate a far riflettere le persone su questo aspetto così importante. In fondo è un tentativo di rendere la vita più sostenibile, ed è per questo che i materiali con i quali lavoro sono riciclati. Attraverso il mio lavoro cerco di avere un impatto minimo sul pianeta, così come accade nella mia vita personale.

Puoi descrivere le tue tecniche e il tuo processo di lavoro? Le tue opere nascono in modo pianificato o dalla spontaneità?

I miei lavori, come dicevi, si differenziano molto tra loro, così come le tecniche che impiego. Ad accomunarli c’è però il fattore recupero. La loro creazione avviene in maniera spontanea, eccone anche spiegata la varietà. Le tele che utilizzo sono sempre di legno e non hanno un vero e proprio standard. Nel 2020 mi sono ritrovato a lavorare su un lotto di piccole dimensioni, perché erano di recupero, mentre ora le dimensioni sono opposte.

Tecnicamente prediligo il “mixed media” perché mi sento più libero nelle combinazioni, e lavoro in maniera manuale dall’inizio alla fine del processo. Sono comunque ancora legato allo spray, che uso spesso per dare alle mie opere un’atmosfera urbana. Non disdegno la tecnologia, visto che già da anni è presente nel mio background. Ho lavorato molto e creato tantissime copertine per album ed ep di musica, e al momento, nelle mie ultime creazioni, sto cercando di valorizzare queste tecniche. Ora sto lavorando attraverso lo smartphone, senza alcuna app di ritocco, per analizzare la differenza esistente nel rapporto visivo tra l’occhio umano e quello artificiale, ma anche le diverse sensazioni che vengono a crearsi quando si guarda un’opera d’arte.

Non sei solo attivo in strada, ma trasferisci anche lo stile della street art sulle tele – “l’effetto è altrettanto diretto e controverso” come dici tu stesso. Qual è la tua opinione sul discorso che l’arte urbana deve rimanere libera e pubblica? O pensi che un più ampio riconoscimento del movimento dell’arte di strada da parte del mercato dell’arte tradizionale sia atteso da tempo?

L’arte urbana credo viva di vita propria, perché chi la crea fa parte del tessuto sociale, affronta i problemi quotidiani, si scontra e si ribella. Sicuramente l’arte urbana continuerà a muoversi in parallelo a quella tradizionale, come ha fatto finora. Ciò non toglie che ormai vi siano gallerie che si occupano di street art e street artist, quindi c’è voglia di riconoscimento. Credo che l’arte urbana continuerà per la sua strada, anzi nelle sue strade, in mezzo alla città e non. Io mi sono trovato a fare delle installazioni a picco sul mare o in mezzo a un bosco. Arte urbana e arte tradizionale sono sicuramente connesse, e il riconoscimento di questo movimento è ormai evidente e accettato, mentre un tempo l’accostamento veniva disprezzato.

La street art ormai ha come compito la valorizzazione del territorio. Ci sono vernici spray che purificano l’aria dall’inquinamento quotidiano, ed è un arte che oserei dire ha un impatto più collettivo. Avvicina le persone e le distacca dalla loro vita, le aliena per qualche istante, le immerge in una dimensione diversa da quella ordinaria. Esattamente ciò che accade nei musei con l’arte per così dire più tradizionale. Quindi credo che in fin dei conti siano una cosa sola.

Hope Crisis – 13039  I Progetto artistico e concetto di Morb I Fotografia di Massimiliano Sticca I Videografia di Giovanni Bottisio

La tua nuova Hope Crisis Series è il risultato di una ricerca durata cinque anni e resa pubblica solo recentemente. La descrivi come “la materializzazione della credenza umana, sotto forma di una figura votiva, che solleva questioni legate all’inquinamento ambientale con lo scopo di dare speranza per un futuro migliore”. Di cosa tratta questa serie? Come l’hai sviluppata e cosa contiene?

Come nella vita, anche nella mia arte vi sono dei percorsi naturali, evolutivi e di crescita. “Hope Crisis” è nata in un periodo di cambiamento sia personale che artistico. È la materializzazione delle credenze umane: il suo simbolo di fede, infatti, è una sorta di madonna in cera dislocata e posta in ex edicole votive abbandonate o in luoghi in deterioramento come cappelle o chiese. Spesso ci troviamo a camminare e durante il nostro percorso ci imbattiamo in luoghi del genere. Sarà che l’archeologia industriale mi ha sempre attirato, ma magari riesco a far porre delle domande a chi vede delle opere così forti a livello emotivo. Come mai c’è una sorta di madonnina con mezzo corpo di metallo? Perché è qui? Cosa vuol dire?

La curiosità ci spinge a cercare risposte, luoghi, noi stessi, un futuro migliore. Hope Crisis è una ricerca che nasce dalla speranza, nella fede o in noi stessi, nel mondo, non importa, è un messaggio camuffato che ci fa sperare in un futuro migliore. Le riflessioni ci fanno crescere, con esse riusciamo a scoprire cose nuove ogni giorno. Spero che con i suoi messaggi Hope Crisis riesca a sensibilizzare la gente. 

La prima installazione urbana è stata posta nella città in cui vivo, un luogo molto affascinante e ricco di significato ma col triste primato di essere la città più inquinata d’Europa negli ultimi 10 anni (almeno fino al 2019). Ciò spiega perché questa figura, metà di cera e metà di cristallo, sia completamente grigia. Torino, nell’immaginario Italiano, è la città della Fiat, città industriale (quindi l’uso del metallo nell’installazione), città con un suo tono di grigio, il grigio Torino, ma anche magica. 

Non è dunque casuale la scelta di iniziare una serie che ha la fede come sfondo in un luogo definito esoterico, importante per la magia bianca, a livello mondiale. Il nome dell’installazione è 10131, ossia il CAP (Codice di Avviamento Postale) del luogo nella quale è posta, i dintorni della Gran Madre di Dio, chiesa simbolo della città, in pieno centro.

Hope Crisis è un progetto che incarna un nuovo concetto di street art per te; puoi spiegare più in dettaglio cosa intendi con questo?

Come dicevamo, Hope Crisis è frutto di un lungo percorso. La street art ormai è presente da molti anni sulla scena mondiale, e per me questa serie fa parte attivamente di questo movimento, incarnandolo però in modo differente. Le sue tematiche analizzano l’aspetto più intimo dell’uomo, un aspetto meno tangibile. Per renderlo tale, non mi sarebbe bastato un enorme dipinto su un muro, ma l’opposto, un oggetto più piccolo da poter toccare con mano, da porre sullo stesso piano di chi lo guarda, al quale lo accomuna la fragilità. 

Queste installazioni si contrappongono ai dogmi e alle ideologie della chiesa, le quali fanno sentire piccolo l’essere umano. Basti pensare all’effetto che fa su di noi la maestosità di San Pietro. Ho così voluto creare qualcosa di diametralmente opposto, quasi come se ormai la fede e il suo simbolo fosse stato vandalizzato e segnato dal tempo. Per questo l’installazione 10123 è posta in una cappella abbandonata; come il luogo stesso che la ospita, anche la statua creata è completamente graffitata. C’è voluto del tempo per scegliere il luogo giusto per l’installazione e farlo connettere con l’opera stessa.

Hope Crisis – 10123 

C’è stato anche un momento, durante l’installazione a Torino, la 13039, in cui si è creata una connessione unica con il luogo che ci circondava. Oltre ad essere in una cappella, eravamo immersi nella natura delle risaie, avvolti completamente dal colore dell’oro. Lì ho capito che non sarebbe bastato porre l’installazione e andare. Dovevo trasportare quella sensazione che ci aveva pervaso, trasmettere ciò che stava succedendo, per cui ho dato una nota di colore che la ricordasse, l’oro del tramonto su questi campi di riso. Dopo quell’installazione, le successive hanno cominciato ad essere più in linea con ciò che le circonda, sono cambiati i processi di realizzazione. 

Nell’installazione 10054 in Valle Argentera, situata nel mezzo di un bosco, luogo dove prima era presente un ghiacciaio, la figura votiva ha delle sembianze per metà animali la testa è quella di un orso polare. Ho adottato queste fattezze per simboleggiare lo scioglimento dei ghiacciai; inoltre, ho usato il fuoco per fondere la cera e ho realizzato, sulle mura esterne di questa piccola edicola votiva, dei disegni di iceberg stilizzati per dare più forza al contesto stesso.

Ogni installazione della serie ha una targhetta serigrafata che la rende riconoscibile e unica, proprio come il messaggio che porta con sé. Ad esempio, 17024 è posta in Liguria, a picco sul mare. Anch’essa, come la precedente, ha una particolarità: la parte superiore, la testa, è realizzata da una bottiglia di plastica ed è avvolta nelle reti. Rivolta verso il mare, ne è visibile solo la schiena, come nella speranza che chi la guarda si accorga che lei è in pensiero per l‘inquinamento marittimo. Credo che in parte sia l’insieme di queste tematiche, oltre al fatto di essere delle installazioni urbane, a rendere diverso per me questo concetto di street art, e per poterlo definire nuovo.

Hope Crisis – 13039

Hope Crisis – 10054

Hope Crisis – 10054  I Progetto artistico e concetto: Morb I Filmmaker: Sara Ceci I Fotografo: Massimiliano Sticca

Hope Crisis – 17024

Accanto al tuo amore per la pittura e il disegno, che ormai “rappresentano una parte ideologica della tua vita”, sei anche appassionato di poesia e musica. Cosa puoi dirci di queste aree della tua pratica artistica? Anche la musica dei tuoi video Hope Crisis è fatta da te?

Sì, queste sono da sempre alcune delle mie passioni più forti. Da giovane ho pubblicato una raccolta di poesie bilingue dal titolo “Attimi fuggiti dal vento”, ma come Rimbaud, la cui scrittura mi affascinava molto, ne ho poi abbandonato la pratica, dedicandomi più alla musica e all’arte, oggi protagoniste della mia vita. Ho prodotto personalmente le tracce che fanno da colonna sonora ai video di “Hope Crisis”, ciò a riprova del legame che ho instaurato con queste mie passioni. Amo tanto la musica, nei suoi svariati generi, però produco esclusivamente elettronica, che adoro ascoltare in vinile, suonare e mixare.

Cosa c’è in futuro per te? Cosa hai in programma per quest’anno (o appena Corona lo permetterà)? 

Non vorrei sbilanciarmi su cosa possa avere in serbo per me il futuro; so solo che continuerò ad andare avanti nel mio percorso. Quest’anno finalmente sono riuscito a fondere le mie passioni, arte e musica, due mondi che andavano di pari passo e che oggi diventano una cosa sola.

“Art Connection” nasce con l’idea di legare arte e musica, attraverso lo street wear.

Per questo ho sviluppato una serie limitata di giacche originali Vintage Levi’s con una vera e propria tela applicata su di esse. In questo modo si potrà indossare l’arte, nel vero senso della parola, cambiando tela ogni volta che lo si desidera. Sono tre le città che hanno ispirato questo progetto; Milano, Berlino e Londra, in ognuna delle quali è nata una collaborazione con un dj di fama internazionale che la rappresenta al meglio. 

Acquistando un capo di questa serie si andrà a supportare attivamente la scena musicale, attualmente in grossa difficoltà. Nella confezione è presente un vinile scelto personalmente dai dj che collaborano con me al progetto. Anche per quanto riguarda “Hope Crisis” ci sono in programma collaborazioni nazionali e internazionali per portare il progetto in giro per l’Europa. 

Posso solo dire che resterò molto attivo, continuerò ad avere al mio fianco persone che mi supportano e fanno sì che il mio lavoro continui a crescere e raggiungere quante più persone; ciò è possibile anche grazie a voi e a questa intervista.

MORB ART

Torino, Italy

Website morbart.com

Instagram morb.art

Facebook morb.gurbowicz

 

Fotografo max.sticca.ph I www.sticca.it

Videografa heppinoise I www.saracecci.com

Videografo Giovanni Bottisio I gio.bot 

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Immagini © Morb

 

Aprile 2021

di Laura Vetter